Scienze
HIFU: il suono contro i Tumori
Alle nuove terapie oncologiche, che già hanno ridotto drasticamente la mortalità, si aggiungono gli ultrasuoni
di Stephanie Lapadula
Si chiama HIFU, acronimo di High Intensity Focused Ultrasound (Ultrasuoni Focalizzati ad Alta Intensità). Una tecnica innovativa e non invasiva con la quale possono essere distrutti tumori di piccole dimensioni, benigni e maligni.
Il principio sul quale si fonda è la produzione di onde acustiche ad altissima frequenza (ultrasuoni) convogliate in un’area precisa.
Contrariamente alle radiazioni elettromagnetiche ad alta energia della radioterapia, potenzialmente nocive, gli ultrasuoni dell’HIFU sono onde inoffensive. L’energia acustica prodotta si trasforma “naturalmente” in calore che, raggiunto il bersaglio, determina la distruzione delle cellule tumorali.
Si tratta, in pratica, di un meccanismo molto simile a quello in cui si concentra la luce solare su un foglio di carta, con una lente d’ingrandimento, ottenendone la combustione.
Inoltre, le onde causano la disgregazione violenta dei tessuti per opera dell’elevata energia meccanica che si produce e la coagulazione e occlusione dei piccoli vasi ematici, con conseguente interruzione del flusso di sangue ai tessuti colpiti.
Il punto focale dell’HIFU viene guidato sul bersaglio attraverso un sistema di monitoraggio video (eco-guida) che, oltre a permettere di individuare il bersaglio, consente di visualizzare in tempo reale lo stato della lesione. In questo modo è possibile creare un trattamento che integri la componente diagnostica e terapeutica sviluppando un approccio personalizzato per ciascun paziente.
Questa tecnica è particolarmente efficace sui tumori che nascono su organi situati nell’addome e soggetti al movimento respiratorio quali il fegato, il pancreas il retro-peritoneo e comunque su porzioni anatomiche esplorabili mediante l’ecografo come ad esempio la mammella.
Visto che durante il trattamento non viene prodotta alcune cicatrice e nessun tessuto, oltre quello malato, viene “toccato”, il ricovero in ospedale è brevissimo, in genere non superiore a una notte. Anche la convalescenza, ovviamente, è più rapida rispetto ad un intervento chirurgico tradizionale.
Inoltre, questa pratica, a differenza della radioterapia interventistica non espone il paziente (e gli operatori) a pericolose radiazioni.
Se il tumore è nella fase iniziale il trattamento HIFU è una grande opportunità con cui, in molti casi, sarà possibile dire basta a invasive operazioni chirurgiche.
Attualità
L’uso smodato degli smartphone può causare demenza nei giovani
Dal 2021 sono stati condotti centinaia di studi che correlano un utilizzo smodato e continuativo dello smartphone, superiore alle sette ore al giorno, a una riduzione del volume cerebrale negli adolescenti e nei giovani adulti.
Attualmente si stima che oltre 6 miliardi di persone sul pianeta utilizzino uno smartphone. Un numero incrementato vertiginosamente dal 2007, dopo la messa sul mercato dell’iPhone e della rivoluzione digitale mobile. Studi scientifici e ricerche biopsicosociali dimostrano che la sovra-stimolazione cronica, soprattutto nei cervelli adolescenziali in via sviluppo, sia correlata a un incrementato rischio di disordini cognitivi, emotivi e comportamentali, sia negli adolescenti che nei giovani adulti. E’ stato dimostrato, inoltre, che la sovraesposizione agli stimoli sensoriali digitali come quelli di smartphone – nello specifico attraverso attività di scrolling afinalistico sui social media soprattutto nei più giovani – determini effetti simili a quelli riscontrati negli adulti affetti da demenza lieve, come difficoltà di concentrazione, amnesia anterograda (difficoltà ad acquisire nuovi ricordi), difficoltà nella socializzazione e disturbi dell’umore.
L’associazione tra l’utilizzo problematico di internet e problemi strutturali della materia grigia cerebrale è stata riscontrata in molteplici studi, quello più importante, della Cambridge University del 2021, [1] ha osservato, che al confronto con una popolazione meno esposta ai social network, gli abusatori di digitale mostrano una significativa riduzione della materia grigia cerebrale in corrispondenza del giro del cingolo anteriore e della corteccia prefrontale dorso laterale. Reperti confermati con l’esame di risonanza magnetica, sia in studi caso controllo che in metanalisi della letteratura [2-3].
Uno studio pubblicato nel 2022 su “journal of integrative neuroscience” [4] ipotizza che il cervello dei ragazzi appartenenti alla Generazione Z (nati tra il 1995 e il 2015) sarà maggiormente soggetto a decadimento cognitivo e demenza in età avanzata rispetto le generazioni antecedenti come i Millennial (nati tra il 1980 e il 1994), la generazione X (nati tra il 1965 e il 1979) e i baby boomers (nati tra il 1945 e il 1964), e si ipotizza che entro il 2060 ci sarà un incremento di circa 4 o 6 volte di demenza precoce e disfunzioni cognitive di grado moderato. L’eccessivo screen time, ovvero un utilizzo dello smartphone superiore alle 6,5 ore al giorno, soprattutto in una popolazione avente il cervello in via di sviluppo, come quella degli adolescenti, può dunque causare veri e propri casi di “demenza digitale”, oltre ad essere associato a un incremento dell’impulsività, craving per il cibo [5], senso di isolamento, riduzione del tono dell’umore, declino della memoria e della plasticità cerebrale, riduzione della soglia dell’attenzione e veri e propri casi di dipendenza dallo strumento. Come ogni dipendenza, tuttavia, è stato anche studiato [6] che almeno sette giorni di “digital detox” possono ridurre il senso di FOMO (Fear of missing out), migliorare il tono dell’umore e le capacità relazionali.
In una società pervasa oramai dall’utilizzo di social media e intelligenza artificiale, è importante ribadire quanto sia necessaria una consapevolezza profonda nell’utilizzo di queste tecnologie, che non vanno demonizzate, tuttavia non deve neanche essere sottovalutato il tangibile rischio di avere, tra vent’anni, una pletora di quarantenni affetti da demenza precoce.
Fonti:
[1] Solly, J.E. et al. (2021) ‘Structural gray matter differences in problematic usage of the internet: A systematic review and meta-analysis’, Molecular Psychiatry, 27(2), pp. 1000–1009.
[2]Montag, C. and Becker, B. (2023) ‘Neuroimaging the effects of smartphone (over-)use on brain function and structure—a review on the current state of MRI-based findings and a roadmap for future research’, Psychoradiology, 3.
[3]Lee, D. et al. (2019) ‘Lateral orbitofrontal gray matter abnormalities in subjects with problematic smartphone use’, Journal of Behavioral Addictions, 8(3), pp. 404–411.
[4] Manwell, L.A. et al. (2022) ‘Digital Dementia in the internet generation: Excessive screen time during brain development will increase the risk of alzheimer’s disease and related dementias in adulthood’, Journal of Integrative Neuroscience, 21(1), p. 028.
[5] Filippone, L., Shankland, R. and Hallez, Q. (2022) ‘The relationships between social media exposure, food craving, cognitive impulsivity and cognitive restraint’, Journal of Eating Disorders, 10(1).
[6] Brown, L. and Kuss, D.J. (2020) ‘Fear of missing out, mental wellbeing, and social connectedness: A seven-day social media abstinence trial’, International Journal of Environmental Research and Public Health, 17(12)
Benessere
Le fibre: davvero molto preziose per il nostro organismo
Lo spiega Massimiliano Varriale, proctologo, chirurgo del Sandro Pertini di Roma
Le fibre sono la componente in cellulosa delle piante: quelle alimentari, in particolare, sono le componenti in cellulosa presenti variabilmente, all’interno dei vegetali commestibili. Costituiscono la parte inassimilabile del vegetale ingerito. Nell’apparato digerente umano, infatti, non essendo presente come per quello dei ruminanti l’enzima capace di scindere la cellulosa, le fibre transitano senza essere assimilate e senza fornirci calorie o altre sostanze nutritive. Per questo, in fisiologia umana, si identifica come fibra la parte degli alimenti vegetali che non viene degradata dagli enzimi digestivi.
Sembrerebbe quindi che le fibre siano nemiche del nostro organismo, tutt’altro! Esse, se usate oculatamente e dosate su ogni persona, non provocano affatto danni, anzi, come spiega il prof. Massimiliano Varriale, proctologo, chirurgo del Sandro Pertini di Roma: “Le fibre svolgono tre azioni importantissime per il buon funzionamento del nostro apparato digestivo: richiamano acqua, contribuendo ad ammorbidire le feci e a facilitarne il transito; aumentano il volume delle feci, stimolando la motilità intestinale e favorendo l’evacuazione; puliscono a fondo le pareti intestinali, come fossero una scopa di saggina”.
Tali fattori fanno sì che il tempo di stasi della massa fecale sia molto più breve rispetto a chi ha una dieta priva o povera di fibre, favorendo conseguentemente una più rapida espulsione dei prodotti di scarto, delle tossine e un minor contatto di prodotti dannosi con la mucosa intestinale. Tutto ciò aiuta anche nella prevenzione dei tumori della parte finale dell’intestino. Diverse ricerche stabiliscono la necessità di 25-30 grammi giornalieri, ma senza stare a fare strani calcoli, diciamo che una buona introduzione di verdura e frutta ci garantirà la quota.
“Un’ottima fonte di fibre è costituita – spiega Varriale – dai cereali integrali, dalla frutta secca e dai legumi, oltre che da frutta e verdura. Le fibre alimentari sono da preferire alle fibre pronte da acquistare in farmacia: le bustine contenenti fibre estratte chissà come e pagate a caro prezzo non sono in alcun modo migliori di una bella insalata fresca o di una bella porzione di frutta!”
È evidente che, purtroppo, il nostro organismo non è più abituato a lavorare in certe condizioni. Immettendo sempre di più prodotti confezionati, ricchi di zuccheri raffinati, e tanti prodotti carnei, contribuiamo a far sì che il nostro apparato digestivo si “dimentichi” del beneficio di questi spazzini naturali.
Chi ha problemi di stipsi deve necessariamente inserire nella propria alimentazione il giusto apporto di fibre cominciando con dosi minime, per poi proseguire gradualmente e annotando le varie conseguenze fisiche che questa reintroduzione susciterà. Anche per chi non abbia particolari problemi di stitichezza, quando e se ci si renda conto di consumare poca frutta e verdura, si dovrebbe cominciare a porre gradualmente rimedio.
Una volta arrivati, poco per volta, al giusto regime di consumo, come si potrà comporre un pasto ben bilanciato? Alcuni consigli ancora da Varriale: “Introdurre nella dieta un pasto di legumi, bilanciato con cereali per avere il giusto apporto di proteine, almeno tre volte a settimana, poi iniziare con dei passati, per evitare che la buccia, dei fagioli in particolare, ricca di fibre ma per alcuni indigesta, possa creare gonfiori, soprattutto se associamo i legumi ad altre proteine animali o a frutta. Sono da prediligere cereali integrali in chicchi alternandoli alla solita pasta: se proprio non ci piace il gusto, proviamo con chicchi decorticati o perlati, sebbene in quest’ultimo caso le fibre siano in quantità minore”.
“E’ bene poi consumare come spuntino – conclude l’esperto – carote, sedani e finocchi, ma anche frutta secca e semi oleosi, fonti di vitamine e grassi polinsaturi. Grazie a tali semplici accorgimenti si potrà rapidamente raggiungere un consumo ottimale di fibre che, a catena, genererà una serie di benefici difficilmente raggiungibili consumando snack pronti, pasti precotti o prodotti da farmacia”.
Scienze
Il Dr. Dolittle può insegnarci a prenderci cura del nostro lato animale
Un film per famiglie che racconta le avventure del bizzarro Dr. Dolittle, il medico che sa parlare con gli animali, ma la sua interpretazione può essere meno banale di quanto non si creda
Il film, prodotto da Stephen Gaghan, è uscito nelle sale cinematografiche statunitensi il 17 gennaio 2020, e in Italia il 30 dello stesso mese. Robert Downey Jr., conosciuto dai giovanissimi per la sua interpretazione di Iron Man nella saga degli Avengers, veste i panni del veterinario John Dolittle, protagonista di una serie di libri per bambini di Hugh Lofting. Il Dr. Dolittle è un medico che evita i pazienti umani a favore degli animali, poiché in grado di comprenderne la lingua.
Konrad Lorenz, nel suo libro “l’anello di re salomone”, pubblicato per la prima volta nel 1949, parla di come gli animali usano schemi comportamentali e movimenti corporei per comunicare tra di loro, un tipo di linguaggio in realtà utilizzato in maniera inconscia anche dagli esseri umani; nell’ambito comunicativo si parla di comunicazione non verbale (CNV). La conoscono bene gli esperti di comunicazione persuasiva o di cold reading, che sfruttano la CVN per identificare la menzogna o gli interessi del loro interlocutore. il Dr. Dolittle ci insegna che per comprendere a fondo l’essere umano (e noi stessi) dobbiamo essere in grado di capire il suo lato primitivo, incontrollato, il suo lato animale, spesso incomprensibile.
Il film di Gaghan non mira a compiacere un pubblico troppo adulto, tuttavia racchiude chiavi interpretative che solo un adulto può comprendere: animali dall’anima umana che ci ricordano i nostri stessi problemi: ansia, depressione, rabbia, incapacità di comunicare, incapacità di fidarsi di un mondo che non ci sa capire.
Emblematica è la scena nella quale il Dr. Dolittle fronteggia il Drago, archetipo Junghiano del nostro lato oscuro, delle nostre pulsioni, della nostra istintività. Nella scena del film, la lotta corpo a corpo porta solo alla sconfitta dei soldati e alla furia dell’animale, che viene però quietato dalla capacità del protagonista di comprendere la sua lingua (livello mentale) e il suo dolore emotivo (livello emozionale). La vittoria finale viene raggiunta poi quando il dottore cura fisicamente il drago. La morale della favola stravolge la tradizionale lotta dell’eroe contro il suo drago, passando dal paradigma della soppressione dei propri demoni a quello del “prendersene cura”, ovvero comprenderli, accettarli e amarli. Un film insomma, poco apprezzato dalla critica, che però può avere un valore pedagogico e psicologico nascosto, foriero di crescita interiore.
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