Benessere
Malattie infettive: riemergenti nella globalizzazione
Secondo L’OMS, le malattie infettive emergenti rappresentano una minaccia mondiale
Le malattie infettive emergenti e riemergenti rappresentano un problema in forte crescita negli ultimi decenni a livello mondiale. Tra i fattori principali ci sono i cambiamenti climatici ed i fenomeni legati alla globalizzazione…
Secondo L’OMS, le malattie infettive emergenti rappresentano una minaccia mondiale
Le malattie infettive emergenti e riemergenti rappresentano un problema in forte crescita negli ultimi decenni a livello mondiale. Tra i fattori principali ci sono i cambiamenti climatici ed i fenomeni legati alla globalizzazione, che hanno portato all’aumento del rischio d’introduzione e di trasmissione autoctona di alcune malattie anche in Italia.
Tra le più importanti, tre di queste sono:
– la Chikungunya (malattia virale caratterizzata da febbre e forti dolori, trasmessa all’uomo da una zanzara femmina del genere Aedes);
– la West Nile Virus (malattia virale che porta febbre elevata, encefalite, tipica del continente africano e trasmessa sempre da zanzare);
– la Dengue (malattia virale tropicale che comporta febbre e dolori, trasmessa da zanzare).
Negli ultimi vent’anni, quasi il 70% delle malattie infettive emergenti sono trasmesse da un agente patogeno dagli animali all’uomo.
Le malattie riemergenti rappresentano quel gruppo di patologie che per un certo periodo sono sembrate sotto controllo, ma che sono oggi ritornate ad essere una minaccia in certe aree del mondo.
Entrambi i gruppi rappresentano un serio rischio per la salute, un costo economico ragguardevole, necessitano di controlli di sorveglianza internazionali e di competenze multidisciplinari.
Le motivazioni principali sono due: il clima e la globalizzazione. La seconda, così come definita, può nascondere l’accezione più possibilista. Nel particolare, il suo contributo all’aumento o alla riaffermazione di queste patologie è il fenomeno delle limitazioni nei controlli di importazione di materiale organico (vedi limitazione ed uso di bancali o pallet affumicati in Australia e Nuova Zelanda) non utilizzati in modo appropriato in tutti gli Stati. Ad esempio, in Italia non è utilizzato per norme legate alle modalità di lavorazione degli stessi: “sembrerebbe materiale nocivo all’uomo”.
Secondo elemento, riferito sempre in termine generico come globalizzazione, nello specifico è legato al fenomeno delle immigrazioni dai Paesi poveri di soggetti che portano con sé queste patologie. Le infezioni possono essere definite legate per l’1% alla globalizzazione e invece per il 99% a fenomeni migratori senza controlli appropriati.
Viviamo sempre più in un mondo globale interconnesso mediante i viaggi internazionali, la politica, l’economia, la cultura, le interazioni fra uomini ed animali, le limitazioni alle importazioni con regolamentazione comune e le migrazioni. Nella sanità pubblica si può osservare una simile combinazione di fattori.
La globalizzazione, espressione di un pensiero economico liberale, consiste in un processo di denazionalizzazione dei mercati, leggi e politiche, intrecciando popoli e individui nell’interesse comune. Di conseguenza, è ridotta od erosa la sovranità dei singoli Paesi. L’elemento di novità è rappresentato dall’intensificazione e dall’espansione di ogni rapporto mediante i progressi tecnologici nell’ambito del lavoro, della comunicazione e computer. Il termine globalizzazione va in parallelo con il “valore” economico, con il peso crescente della finanza e del sistema bancario.
Questo, cosa significa? Che la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale assumono ruoli di leader sanitari e contribuiscono ad influenzare le decisioni politiche stesse, in particolare (nel nostro caso) sanitarie più dell’OMS.
Secondo L’OMS, le malattie infettive emergenti rappresentano una minaccia globale che richiede una risposta globale e coordinata.
La minaccia è planetaria, può passare da ovunque nel mondo attraverso i mezzi di comunicazione in tutta libertà dai controlli doganali, dalle norme limitanti, attraverso la migrazione.
Quali sono le ricadute di questa minaccia sulla sanità pubblica?
Perché, in effetti, vi è anche una globalizzazione dei rischi. Da sempre gli Stati hanno collaborato nel controllo delle malattie infettive, inizialmente con i trattati poi con l’istituzione dell’OMS, che però ha meno importanza del “valore” economico.
La globalizzazione interagisce con la sanità pubblica mediante “il restringimento del mondo”. Due fattori contribuiscono a tale fenomeno.
Il primo è l’aumento dei viaggi internazionali e degli scambi commerciali, soprattutto nel settore alimentare. I viaggi pregnanti non sono quelli legati al turismo o al lavoro: negli ultimi dieci anni, oltre 50milioni di persone si sono mosse da un Paese all’altro a seguito di carestie, di disordini civili e guerre.
Il secondo fattore è la maggior liberalizzazione politica ed economica, che può tradursi negativamente in allentamento degli interventi e dei controlli sanitari attraverso la riduzione degli investimenti nei programmi sanitari. Tale riduzione è condizionata dallo sviluppo del mercato globale che aumenta la competizione economica sui governi, indebolendo così le difese istituzionali nei confronti delle infezioni emergenti.
I programmi di sanità pubblica si giovano di una diffusione globale, tuttavia la sovrappopolazione crea un fertile terreno allo sviluppo delle malattie infettive a causa di una maggiore difficoltà di controllo e di una minore efficienza delle strutture sanitarie.
In effetti, sono molti i centri studi che definiscono ed orientano le patologie, gli stessi con auto sovvenzioni o di pubblici sistemi quali università e quant’altro. La ricerca è improntata sulla salute che verrà, ed in Italia l’era post antibiotica è caratterizzata da nuove infezioni in grado di uccidere. In effetti, nel nostro Paese muoiono ogni anno circa 10mila persone a causa di germi multiresistenti.
Eppure, il presidente dell’Istituto Superiore di Sanità Walter Ricciardi afferma che “il mondo della sanità è in continua evoluzione, aprendo nuovi scenari in cui la biomedica e le discipline tecnologiche offriranno strumenti di cura efficaci che, in un sistema universale come il nostro, devono essere accessibili a tutti nello stesso modo”. Quindi, secondo Ricciardi, ci sarà “scienza efficace, sostenibile, e cura”.
Tornando alla non globalizzazione dei rimedi. non solo sono emerse nuove infezioni, ma nel mondo, ogni anno, muoiono 17milioni di persone nei Paesi poveri: in questi Paesi i medici sono meno della metà di quelli negli Stati Uniti, e questo contribuisce alla diffusione e l’incremento delle malattie infettive.
La situazione di disuguaglianza e iniquità nel livello di salute è sconfortante anche nella civilissima Italia, dove malati di mente, lavoratori precari, carcerati, tossicodipendenti, nell’Italia evoluta, vivono di luce riflessa. I loro diritti sono tutt’altro che globali: non fanno parte del processo produttivo, e la qualità della loro vita dipende dalle risorse messe a disposizione dalla collettività.
In conclusione, oggi anno 2018, si assiste ad una paradossale contraddizione: un potenziale incremento dello stato di salute “in termini di conoscenze sicure e rimedi possibili con tante malattie e tanti morti prevedibili, evitabili, e curabili”. C’è scarsa volontà di usare conoscenze e rimedi nell’interesse di tutti. Alla globalizzazione dei rischi corrisponde, infatti, una restrizione o comunque un’inadeguatezza dell’impegno globale per contrastarla, per orientare conoscenze e risorse in quella direzione.
Per raggiungere una globalizzazione equilibrata, anche se non facile, servirebbe una cultura socio-politica che si orienti non solo alla cura, ma che si faccia promotrice di prevenzione in ambito infettivologico: una politica a favore delle vaccinazioni migliorerebbe in parte la situazione. Altro elemento sempre a carattere preventivo dovrebbe essere un maggior controllo sulle importazioni di materiale organico, l’adozione di sistemi che evitino il proliferare di virus o batteri durante il viaggio e un’attenzione maggiore anche sui grandi flussi migratori.
Ambiente
Canarie, Tenerife: destinazione ecosostenibile ma non solo
Riconoscimento Unesco che inserisce quello dell’arcipelago nell’elenco dei cieli più puliti al mondo
Lunghe passeggiate lungo le spiagge di sabbia bianca: a Tenerife, infatti, c’è la famosissima area marina di Teno-Rasca che si estende tra la costa sud e l’isola di La Gomera. Per chi ama guardare delfini e balene è un posto tra i migliori al mondo, dove si può poi sorseggiare un Barraquito, bevanda tradizionale delle Isole Canarie, molto popolare a Tenerife: una miscela di caffè, latte condensato, liquore tipico, schiuma di latte, scorza di limone e cannella in polvere.
Silvia Donatiello, rappresentante dell’Ente del Turismo di Gran Canaria in Italia, ha recentemente spiegato che “Le Canarie e Tenerife sono una destinazione eco sostenibile e per il 46% il territorio riserva il miglior clima del mondo… con una media di 23-24 gradi tutto l’anno”. Come è noto Tenerife è l’isola più grande delle Canarie e nonostante siano geograficamente situate nell’Oceano Atlantico, vicino al Marocco e al Sahara Occidentale, le Isole Canarie appartengono alla Spagna.
Nel dicembre 2021 Gran Canaria ha sottoscritto il compromesso delle Nazioni Unite 2030 sulla sostenibilità proponendosi di ridurre del 40% le emissioni di CO2, entro il 2030. “Recentemente – spiega ancora Donatiello – abbiamo ricevuto un riconoscimento come una delle 15 destinazioni migliori in Europa, per il più alto numero di strutture certificate sempre dalla biosfera. Siamo anche una destinazione starlight, altro titolo dell’Unesco, per i cieli più puliti al mondo”. C’è una discussione infinita su quale parte dell’isola sia più bella, settentrione o meridione, ma sia il Sud che il Nord hanno i loro vantaggi. Comunque ovunque si riscontra un clima temperato molto stabile e spiagge perfette per nuotare e prendere il sole. Tenerife poi offre praticamente tutto: appunto piacevoli spiagge, montagne da vivere e cibi e bevande autentici, deliziosi paesaggi e anche una vibrante cultura e una piacevole vita notturna tipica di tutte le Canarie.
Benessere
I migliori anticancro: corretto stile di vita, screening e cura
Settimana nazionale per la Prevenzione in Oncologia. Al centro dell’attenzione le fasce sociali più deboli e svantaggiate
“L’obiettivo è quello di contribuire alla diffusione di una cultura della prevenzione, basata anzitutto sui controlli medici periodici, anche via screening, da non relegare all’occasionalità bensì da ripetere con la giusta periodicità, così come promuovere buone e più salutari pratiche di vita: non fumare, evitare gli alcolici, alimentarsi in maniera adeguata e secondo la giusta stagionalità, difendersi dalla sedentarietà con una regolare attività motoria adatta al proprio status psicofisico, riposare meglio e a sufficienza”. E’ quanto emerso dalla relazione del presidente Andrea Barbieri in occasione del convegno: “Prevenzione Oncologica: corretti stili di vita, Screening e Cura” celebrato in occasione della Settimana nazionale per la Prevenzione Oncologica, tenutosi la scorsa settimana presso il Centro Chirurgico Toscano di Arezzo, su indicazione organizzative di Lilt Italia diretta dal prof. Francesco Schittulli.
Il convegno s’è aperto appunto con l’intervento del presidente della Lilt Arezzo Andrea Barbieri, al quale è seguito quello di S.E. Mons. Franco Agostinelli, Correttore Nazionale Misericordie d’Italia , che ha colto l’occasione per ribadire l’auspicio che la prevenzione venga portata a permeare tutti i livelli sociali, in special modo quelli dei cosiddetti “ultimi”. Poi l’intervento di Assunta De Luca, Direttore Sanitario Usl Toscana Sud Est. I lavori sono stati coordinati da Stefano Tenti, presidente del Comitato Scientifico Lilt di Arezzo e direttore sanitario del Centro Chirurgico Toscano. Tra i presenti anche Alessia Valducci, presidente di Valpharma Group, noto gruppo farmaceutico del centro Italia, oltre alla vicepresidente Lilt Arezzo Sabina Rossi.
Benessere
Prevenzione fattore chiave per la salute delle donne
Aversa (Lugano): non sono ancora abbastanza le donne che si sottopongono di propria iniziativa ai vari screening per cancro
Nonostante la prevenzione sia un fattore chiave per la salvaguardia della salute femminile, la maggior parte delle donne non si sottopone spontaneamente a screening per cancro, malattie cardiache, diabete o malattie o infezioni sessualmente trasmissibili. Lo sostengono diversi studi di ricerca internazionale in ambito sanità. Lo conferma Giuseppe Aversa, direttore amministrativo di Studio Ginecologico luganese per la parte che gli compete, puramente statistica e gestionale.
Per esperienze vissute, lo stesso Aversa ha potuto constatare come la diagnosi precoce della malattia “costituisca una differenza fondamentale nella durata della vita e nella qualità della vita delle donne”. Quando devono scegliere tra l’assistenza sanitaria per sé stesse e la ricerca di un bene non prioritario, o addirittura godersi una vacanza, è probabile che diano la priorità alla seconda. In Svizzera fortunatamente, a partire dai 50 anni di vita, per le donne, è previsto uno screening mammografico gratuito ogni due anni, cosa fondamentale per la prevenzione (solo per il seno). “Quindi i politici, nel settore della sanità e della spesa pubblica, devono considerare l’assistenza preventiva come parte di un insieme multidimensionale e reciprocamente dipendente di fattori che dovrebbero essere affrontati insieme”.
Aversa – che ha lavorato per società multinazionali in campi molto diversi, dal trading al Family Office e appunto al settore medico sanitario dove opera attualmente – conferma che i dati raccolti si basano sull’indagine di diverse dimensioni interconnesse. I criteri considerati sono in linea con gli indicatori globali di salute e benessere individuatati dall’OMS come parte degli Obiettivi di sviluppo sostenibile”. I dati dimostrano però evidentemente come le donne spesso sottovalutino, per condizioni economiche e sociali difficili, la loro salute incorrendo poi in possibili gravi problemi.
Come qualsiasi medico specialista in materia potrebbe confermare, nel loro insieme possono determinare fino all’80% delle variazioni nelle aspettative di vita delle donne stesse, miglioramenti in alcune o in tutte le dimensioni comportano infatti maggiore aspettativa di vita alla nascita.
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