Cultura
Semplicemente: “Dentro”
Libro esordio di Sandro Bonvissuto. Essenziale, illuminante, radicato nella vita. Ora disponibile anche nella versione audiolibro
Ci sono libri che quando li chiudi continuano a parlarti. Libri che mentre li leggi ti danno l’impressione di sfogliare le pagine che hai “dentro”.
È quello che accade con il testo di Sandro Bonvissuto che s’intitola, appunto, “Dentro”.
“Dentro”, un titolo ambivalente, addirittura ambiguo, come lo definisce lo stesso autore che abbiamo incontrato nelle fasi di registrazione dell’audiolibro (guarda la video-intervista). Sicuramente una scelta editoriale azzeccata. Se è vero, infatti, che il riferimento principale del titolo del libro è al primo episodio in cui il protagonista viene portato “Dentro” un penitenziario, è altrettanto vero che il “Dentro” dei tre episodi proposti fa riferimento all’interiorità.
Il testo, come si legge nella quarta di copertina, si propone come un viaggio “nell’esistenza di un uomo raccontata a ritroso, dall’età adulta all’infanzia: l’esperienza del carcere, la nascita casuale di una grande amicizia, il giorno in cui, imparando ad andare in bicicletta, scopre all’improvviso com’è fatto suo padre”. Momenti capitali della sua vita raccontati nei tre episodi che compongono il libro.
Fin dalle prime pagine è come se l’autore ti prendesse per mano e ti portasse con sé. È come se su quell’auto che sfreccia nella notte verso quel “Dentro” ci fossi anche tu.
Una scrittura semplice, lineare. Un linguaggio spontaneo, quasi istintivo. Brevi ma forti pennellate che trasmettono “idee” lasciando al lettore lo spazio per riempirle di senso.
Salito su quell’auto non conosci il nome del protagonista che ti accompagna, né verso quale penitenziario si va; tanto meno per quale reato, commesso o non commesso. Ma sono proprio questi gli ingredienti che fanno di questa storia la storia di chiunque.
È come provare in prima persona le esperienze del protagonista. Sei lì a percepirne la tensione, a guardare le crepe del soffitto, a convivere con la puzza di fogna e il sudiciume per terra, a stendere il bucato alla luce della luna, a farti ossessionare dal tintinnio delle chiavi dei secondini…miraggio assordante della tua libertà perduta. L’autore non ti racconta semplicemente il carcere, non te lo descrive: ti ci chiude “Dentro”. È come vivere, per un momento, in quel luogo dove il tempo sembra essersi fermato. È come subire sulla tua pelle la vera punizione inflitta ai detenuti: l’infinito tempo e il niente spazio.
Il tempo è la pena di che è in carcere. «Fuori magari. C’era poco tempo ma tanto spazio. Lì invece (“Dentro”) era il contrario. C’era tanto tempo ma poco spazio».
È sorprendente come dal punto di vista del “Dentro” le cose assumono un significato diverso come il muro, ad esempio, che diventa «il più spaventoso strumento di violenza esistente». Il muro – si legge – «non si è mai evoluto, perché è nato già perfetto […] non è fatto per agire sul tuo corpo: se non lo tocchi tu, lui non ti tocca. Perché il muro è concepito per agire sulla coscienza. Non è una cosa che fa male è un’idea che fa male. Ti distrugge senza nemmeno sfiorarti».
Il titolo di questo episodio, secondo qualcuno, avrebbe dovuto essere proprio “Dentro”. Ma sarebbe stato un grandissimo errore, il libro ne avrebbe perso in unitarietà. Confermo, quindi, l’ottima scelta editoriale. L’episodio s’intitola, invece, “Il giardino delle arance amare”. Titolo legato alla riflessione dell’autore sul senso del carcere.
«Nel giardino davanti a casa mia c’è un albero di arance amare. Mi ero sempre chiesto a cosa servissero, perché non sono buone da mangiare. Qualcuno ci fa la marmellata, ma quella di ciliegie o di albicocche è sicuramente più buona. Queste arance stanno lì sull’albero, poi cadono per terra. Non servono a niente. Eppure esistono».
Giardino delle arance amare che ritorna alla mente dell’autore proprio mentre lascia il penitenziario.
Il secondo episodio, “Il mio compagno di banco”, ci porta nel periodo dell’adolescenza; sui banchi di scuola, appunto. Il filo conduttore è l’amicizia tra due adolescenti che il “caso” fa sedere nello stesso banco, chissà perché fatto per due, il primo giorno di scuola.
«Ecco dunque chi era a decidere con chi avrei spartito il posto: il caso».
Anche in questo episodio, fatti, situazioni, cose, disegnati a piccoli tratti, colorati con brevi pennellate sono gli elementi che ti portano “Dentro”.
E allora ecco la tua scuola, il tuo compagno, la tua compagna, le tue ansie, l’odore dei libri.
«Fu lui a chiedermi se dovessimo davvero andarcene anche noi ognuno per conto proprio oppure tornare a casa insieme. Per strada ci trovammo a camminare vicini e paralleli, come fossimo ancora seduti in classe».
«Potevamo scollare uno a uno i fascicoli delle pagine e poi spartirceli in modo che il libro sarebbe stato completo solo quando eravamo insieme. Andò proprio così».
«Il nostro posto era l’ultimo della fila centrale. E non cambiò mai, perché era una città stato, e gli stati non si spostano».
Ancora una volta Bonvissuto ti prende per mano e riecco quei giorni in cui tutto sembrava “per sempre” eppure, inesorabilmente, ci si è persi.
«Oggi lo aspetto in questa piccola stazione ferroviaria […] Non tarderà. Non può resistere all’idea che io stia seduto qui senza di lui».
Ed eccoci, in questo viaggio a ritroso, al terzo episodio, all’infanzia dove, secondo alcune teorie, tutto comincia o tutto ritorna. Ansie, paure, scoperte, conquiste. Cose che bisogna provare, prove che bisogna affrontare, per “crescere”.
«Il giorno in cui mio padre mi ha insegnato ad andare in bicicletta – titolo dell’episodio – c’era ovunque una luce accecante. Il cielo era di un colore che non ho mai più visto; era molto più alto di adesso, ti accarezzava appena».
Tutto si svolge in una calda giornata d’estate eppure, tra detto e non detto, tra raccontato e sottinteso, quello che ci si apre è l’infanzia intera. È come se il tempo si dilatasse, quasi sparisse. Ancora una volta il protagonista è chiunque; il tempo e lo spazio qualunque. Qui, a mio avviso, in alcuni punti le pennellate diventano quasi spatolate, capaci di graffiare.
«Quella mattina, però, c’era un gran silenzio. […] Mi sembrava impossibile che non mi avessero aspettato. Poi, qualcuno dei grandi mi fece segno che gli altri se n’erano effettivamente già andati. Mi misi a correre. Era troppo assurdo che se ne fossero andati senza di me. Li raggiunsi. Spingevano le loro biciclette sulla sabbia, verso la strada».
[…]
– Va bene allora vengo anch’io, – dissi al mio amico.
[…]
– No, – rispose.
– Perché?
– Primo perché siamo in troppi, e secondo perché non sai andare in bicicletta.
«Non erano in troppi. Erano in due». La prima era una scusa.
«Invece il fatto che non sapessi andare in bicicletta mi parve subito una cosa dolorosamente vera».
[…]
«I miei due amici spinsero le biciclette sulla sabbia fino alla strada di terra battuta. La imboccarono e se ne andarono così, senza che nessuno di noi dicesse altro».
Ora è solo e non c’è soluzione. Non è all’altezza della situazione. “Se il tutto è ricomposto nello scenario del bambino in quel momento – afferma Bonvissuto nel nostro incontro a proposito di questo episodio – lo vediamo precipitare in maniera paurosamente triste in una botola esistenziale”.
«Essere lasciato solo da due persone è peggio che essere abbandonato da centomila; una moltitudine che ti scansa fa già di te forse un profeta, mentre due persone che se ne vanno lasciandoti solo ti riducono in un istante al più miserabile degli umani».
Che sia la bicicletta o qualunque altra cosa, qualunque altra circostanza, in quante botole siamo caduti per crescere? Senza accorgertene ti ritrovi a scoperchiarle una per una: quella in cui eri solo, quella in cui ti sei sentito tradito, quella in cui ti sei sentito incapace…
– Che hai? – chiese il mio amico.
– Niente… – risposi.
«Non era vero. Eppure nessuno, me compreso, pareva rendersi conto di quanto mi stesse accadendo.
– Guarda che non è colpa nostra se non sei potuto venire.
– Ci potevamo andare a piedi.
– In bici è meglio. Non è colpa nostra se tu non ci sai andare, – ribatté l’altro.
«Era vero; non era colpa loro. Però in un certo senso non era nemmeno colpa mia. Non avevo mai scelto di non saperlo fare. Non c’era mai stato un giorno nel quale mi avessero offerto la possibilità di cambiare quello stato di cose e io non avessi acconsentito. Tutti avevano ragione, me compreso».
– E ora che faccio? – pensai ad alta voce.
– Puoi sempre imparare… – disse la bambina.
È il momento della scelta: “si può fare”! Posso anch’IO! Ma come? E affidandosi a chi?
– Papà… – gli chiesi.
– Dimmi.
– Devi insegnarmi ad andare in bicicletta. Adesso, – e lo guardai fisso negli occhi.
«All’improvviso ascoltavo le mie parole. Ed erano parole che desideravo dire da tanto tempo, che forse custodivo da qualche parte».
«Mi strizzò l’occhio, facendo un cenno con la testa come a dire: «Andiamo».
È il momento della svolta, il momento di crescere che diventa anche l’occasione per scoprire, all’improvviso, com’è fatto suo padre.
– Ma papà…
– Non devi aver paura, non è la morte l’avversario della vita, ma il tempo. Ricordatelo.
– Va bene. Dimmi solo che devo fare.
– Non lo so figliolo, nessuno lo sa.
– Pensi che ce la farò?
– Diciamo che è probabile, ma non è sicuro.
– Mi aiuterai?
– Non posso, la solitudine è una condizione indispensabile.
– E che farai?
– Sarò qui e sarò testimone dell’incredibile.
Dalla frustrazione alla sfida, dalla sfida alla paura, dalla paura alla libertà.
«Il mondo mi veniva incontro a una velocità che non avevo mai conosciuto. […] Stavo entrando in qualcosa che mi accoglieva. Le cose che avevo visto solo allineate davanti a me ora scorrevano alla mia destra o alla mia sinistra. Si sfrangiavano in presenze laterali. E poi sparivano alle mie spalle».
Ce l’ho fatta! IO ce l’ho fatta! Sono “cresciuto”. Nella vita di ognuno spesso basta una sola piccola grande conquista per cancellare l’amarezza di tante sconfitte.
In fondo è un episodio qualunque, dicevamo, che si svolge in un luogo qualunque, che coinvolge un bambino qualunque ma capace, nei suoi chiaro-scuri, di graffiarti, di arrivarti “Dentro”. Tanto “Dentro” da sembrare, sotto sotto, di essere cresciuto un pochino anche tu.
«Non è vero che si cresce lentamente e armoniosamente, si cresce tutto insieme. In un giorno. In un’ora. Questa è la storia. Infine imparai dunque ad andare in bicicletta. È stato mio padre a insegnarmi. Era d’estate, e non avrebbe potuto essere altrimenti».
È con queste parole che si chiudono episodio e libro.
“L’esistenza di un uomo raccontata a ritroso, dall’età adulta all’infanzia, attraverso tre momenti capitali della sua vita” – dicevamo all’inizio citando la quarta di copertina. Ma “Dentro”, a mio avviso, è molto di più: è la storia di quella identità forse raggiunta, ma mai del tutto definita. L’odissea di quella identità che spesso abbiamo la sensazione di smarrire fagocitati dal fare, dal tempo che ci sfugge, che scorre inesorabile, che “Dentro”, invece, assume la forma originaria dell’alternarsi del giorno e della notte:
«Le ore erano un’unità di misura che non aveva senso lì. Come anche i minuti, le settimane, i mesi, o gli anni. Lì dentro contavano solo i giorni. Dovrebbe essere così ovunque pensai. L’unica misura valida del tempo dovrebbero essere i giorni, appunto. Tutti gli altri parametri dovrebbero essere considerati quelli che sono: convenzioni sociali. Invenzioni. Gli esiti deliranti del perenne tentativo dell’uomo di dominare in qualche modo la più grande ossessione: il tempo. I giorni invece esistono davvero. Dovrebbero essere l’unico modo giusto di misurare la vita».
“Dentro” è il dramma di quell’identità che spesso abbiamo la sensazione ci venga rubata:
«Mi presero le impronte delle dita. E ora stavano su un foglio, sopra il tavolo, proprio davanti a me; sembravano un segreto svelato, una cosa che, fino a poco prima, era intima e privata, e che invece d’ora in avanti tutti avrebbero potuto vedere. Senza dovermi chiedere niente. Le guardavo. Era come se mi avessero tolto qualcosa di mio per sempre, come se quelle impronte me le stessero rubando».
Quell’identità che continuamente oscilla tra il NOI, fatto di amori, affetti, amicizie e l’IO che si impone quando si sente minacciato, quando è il momento di accettare una sfida o quando intravede un NOI che sembra ancora più grande: l’amore.
«Aveva detto «noi». E mi sembrò fosse la prima volta che risuonasse quel pronome nell’aria, riferito anche a me»
«Al mattino sapevo già che da quel giorno non avrei dovuto fare delle cose, ma che avremmo dovuto fare delle cose, e questo perché pensare per due era già diventato l’unico modo di pensare».
«Era difficile essere la metà esatta di quel NOI, succedeva solo in due, e quel NOI era il doppio del massimo a cui potesse ambire un IO. E adesso dovevamo solo stare attenti che non ci separassero. Perché avrebbero potuto farlo. Lo sapevamo».
«[…] c’era una ragazza seduta a cantare. Rimasi colpito, forse dalla canzone o da lei, o da tutte e due le cose. Poi mi girai a cercarlo, ma lui non c’era più. […] Mi disse che c’era rimasto male. […] La diarchia finì in quel momento. […] Dev’essere proprio previsto; le donne sono l’unica cosa che non è tanto facile condividere. E lei era l’unica cosa più grande di NOI».
“Dentro è la storia di quell’IO che solo se c’è può considerare e dare vita all’ALTRO.
– Ma devo fare come fanno gli altri?
– No. Cadresti.
– E cosa devo fare?
– È una dinamica unica ciò attraverso cui ti definisci e ti conosci. È la tua identità.
– Che identità?
– Ciò che ti rende uguale a te stesso e diverso dagli altri.
Di quell’IO che, a volte, solo davanti a un “muro” riusciamo a ritrovare.
«C’era un uomo lì dentro che tutti i giorni, allora d’aria, usciva con gli altri in cortile, lo attraversava interamente e arrivava, camminando a passi lenti, fin sotto il muro di cinta, ma talmente sotto che riusciva a toccarlo col naso. Per guardarlo così da vicino da non vederlo più. Una volta l’ho fatto anch’io. Ero arrivato talmente sotto il muro da perdere la visione laterale degli occhi. Talmente sotto il muro da vederne solo il colore».
Sparisce il “muro” e appare il tuo “Dentro”. Il prezzo da pagare per ritrovare la tua identità, per riaffermare il tuo IO. Il prezzo da pagare per riprenderti la tua libertà.
Cultura
Arezzo Fiere e Congressi: al via la ricca collezione autunno-inverno di eventi
“Fino a fine febbraio 2025 Arezzo Fiere e Congressi osserverà ritmo altissimo, scandito da un calendario fitto di eventi tra tradizione e innovazione”. Lo spiega il presidente di Arezzo Fiere e Congressi, Ferrer Vannetti, che – dopo il grande successo di pubblico registrato con l’edizione autunnale di Passioni in Fiera e quella annuale di Agrietour – guiderà l’Ente Fieristico aretino attraverso la fitta serie di appuntamenti che chiuderà quest’anno 2024 e che darà inizio alla stagione 2025.
In questo novembre tanto spazio per i convegni professionali in ambito sanitario. Nel weekend del 15 e 16 novembre infatti si è svolto il Congresso Nazionale Scivac “Quando la decisione è più importante dell’incisione”, nel quale si è parlato di chirurgia attraverso un punto di vista innovativo, con interventi di numerosi speakers di alto livello. “Dal 26 al 29 novembre si svolgerà invece – spiega Vannetti – il 19esimo Forum Risk Management che si intitola ‘Verso un Nuovo Sistema Sanitario, Equo – Solidale – Sostenibile’, un evento che rappresenta da sempre un momento importante della programmazione fieristica aretina e che ospitiamo ogni anno con estremo piacere e con l’attenzione organizzativa che questo appuntamento merita”.
Organizzato da Gutenberg, promosso da Agenas con il patrocinio della Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome e con il patrocinio dell’Istituto superiore di sanità e della Regione Toscana, il Forum ha infatti l’obiettivo di scrivere la road map della sanità del futuro con la presenza attiva di ministri e assessori alla sanità di moltissime regioni italiane. Tra novembre e dicembre Arezzo fiere e Congressi ospita poi diversi concorsi indetti da Estar, l’Ente di Supporto tecnico amministrativo regionale. Vannetti interviene poi per promuovere un evento nuovo, lo spazio giovani di dicembre, che vedrà l’evento Smart Future Academy in programma venerdì 6 del mese prossimo. “Per la prima volta – illustra appunto il Presidente – alla Fiera di Arezzo si terrà l’evento rivolto ai giovani, dagli studenti delle scuole medie e superiori fino ai diplomati, laureandi e laureati, ha come obiettivo quello di aiutarli a rispondere alla domanda ‘Cosa Vuoi Fare Da Grande’ che prevede attività cosiddette ispirazionali, con la partecipazione di autorevoli speaker e workshop e attività esperienziali di orientamento per realizzare il matching tra giovani, aziende ed enti di formazione”.
Altro appuntamento fondamentale prima della fine dell’anno, il 5 e 6 dicembre: Arezzo Fiere ospiterà la manifestazione dedicata ai protagonisti dell’oreficeria e gioielleria italiane organizzata da Ieg – Italian Exhibition Group. “Il Summit del Gioiello Italiano – approfondisce Vannetti – per questa quarta edizione amplia il suo format e nella prima giornata si svolgerà il vertice strategico dedicato ai protagonisti dell’oreficeria e della gioielleria italiane con il confronto tra gli stakeholder nazionali e territoriali per esplorare sfide e opportunità del comparto”, mentre nella seconda prenderà il via la parte dedicata all’orientamento e al matching tra giovani, aziende ed enti di formazione organizzato da Smart Future Academy.
Il Calendario 2025 si aprirà poi con la ventisettesima edizione del Salone veicoli da collezione in programma l’11 e 12 gennaio 2025. Nei diversi padiglioni e nelle aree esterne si potranno ammirare ma anche scambiare/acquistare auto e moto storiche, ricambi e accessori. Spazio anche all’editoria specializzata, all’automobilia e al modellismo.
L’1 e 2 Febbraio la Fiera ospiterà invece la prima edizione assoluta dell’Arezzo Mineral Show. Vasta esposizione di minerali da collezione, fossili, pietre lavorate e creazioni di gioielli con pietre naturali. Un’occasione unica per collezionisti, appassionati e curiosi per immergersi nel mondo dei minerali. Tornano poi protagonisti gli studenti con Campus – Salone Dello Studente in programma il 5 e 6 febbraio. Occasione unica per conoscere tutti i percorsi post-diploma esistenti e quelli che stanno per essere attivati, dai corsi di laurea delle università, delle accademie e degli Its agli istituti tecnici superiori post-diploma e professionalizzanti. Si potranno inoltre simulare i test di ammissione delle facoltà a numero chiuso, valutare le proprie soft skill e soprattutto confrontarsi con professionisti, professori e psicologi dell’orientamento per una scelta così importante fatta consapevolmente.
Il 15 e 16 febbraio il ritorno del grande Mercato Delle Pulci che prevede la partecipazione di oltre 600 espositori, tra svuota soffitte e svuota armadi, collezionisti, hobbisti e professionisti vintage, handmade, sbaracco negozi, antiquariato e collezionismo per due giornate all’insegna del riuso con ristoro, con spazio bimbi e relax.Chiude il mese di febbraio l’atteso e collaudato appuntamento con Esotika Pet Show. Il Salone nazionale degli animali esotici e da compagnia in programma il 22 e 23 febbraio con un ricco calendario di eventi, anche didattici, per ogni settore della manifestazione con la consueta mostra scambio animali da compagnia, fattorie didattiche e molto altro ancora.
Cultura
Ildegarda, esempio storico e attualissimo di donna d’eccezione
Serata culturale di alto livello organizzata dall’Inner Whell con la relazione del prof. Dioni
Davvero una serata bella e coinvolgente quella organizzata dall’Inner Wheel Arezzo lo scorso martedì pomeriggio presso il Circolo Artistico di Arezzo, dove una folta e attenta platea di socie e ospiti ha potuto ascoltare una relazione d’eccezione. Dopo il saluto e l’introduzione alla serata da parte della presidente del club service aretino, Laura Agnolucci, è infatti arrivato il momento dell’interessante e approfondita relazione di Gianluca Dioni, professore associato di Filosofia Politica presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Napoli “Federico II”.
Il docente ha approfondito la figura di una donna speciale, che ha ovviamente affascinato moltissimo le socie dell’Inner Wheel Arezzo, vista la loro vocazione alla piena valorizzazione della donna e del suo ruolo sempre più decisivo nella nostra società.Protagonista della serata è stata infatti Ildegarda di Bingen – il nome significa protettrice delle battaglie – di nobile famiglia, che visse in maniera intensa e appieno il XII secolo (1098-1179). Ildegarda fu una sorta di femminista ante litteram poi fatta Santa e rappresenta una figura femminile complessa ed affascinante, soprattutto per la forza del carattere, “che la portò, in contrasto con l’ideale monastico del tempo, ad aprirsi al mondo – come ha spiegato approfonditamente il prof. Dioni – e ad occuparsi di teologia, musica, medicina e scienze naturali”.
Cultura
Cortale: gemma sui due mari tra il Golfo di S. Eufemia e quello di Squillace
Magnifiche nicchie di storica italica bellezza. Cortale è una di queste: è un paese situato nella parte più stretta della Calabria, su una collina che domina vaste pianure e suggestive vallate, con una bellissima vista aperta sui due mari, tra il Golfo di S. Eufemia e quello di Squillace.
Il centro storico, nonostante il terremoto del 1783 e quello del 1905, ancora oggi è testimonianza del passato e l’antica atmosfera può essere assaporata passeggiando tra i vicoletti sovrastati da tunnel in pietra tufacea del posto o risalendo le gradinate che caratterizzano il pittoresco borgo. La storia di Cortale lunga quasi mille anni, ebbe inizio quando alcuni monaci, seguaci di San Basilio, si stanziarono intorno al 1070 nel “declivo del Carrà”, territorio molto fertile e ricco di sorgenti d’acqua e qui fondarono il Monastero dei SS. Anargiri Cosma e Damiano. L’Abbazia dei monaci Basiliani costituì il nucleo dell’origine del paese. Nel corso degli anni Cortale divenne uno dei ‘casali’ del feudo di Maida che dal 1272 al 1331 appartenne alla famiglia dei San Licet e poi a diverse casate. Nel 1795 passò ai Ruffo di San Lucido fino al 1806, anno in cui fu abolita la feudalità dalle leggi napoleoniche. Con l’istituzione dei Comuni Cortale divenne capoluogo del Circondario comprendente Jacurso, Vena e Caraffa.
Cortale è definito il paesino del dialogo dove ci sono ancora persone che parlano e si incontrano nella famosa piazza chiamata le villette: si può definire un raro paesino calabrese dove esiste una pasticceria con dolci speciali un locale di ritrovo del mitico Michele e una serie di viuzze con case stile Amarcord. Ma non tutto è fermo alla storia: dalla provincia di Catanzaro arriva un nuovo Presidio Slow Food: i fagioli di Cortale. Anzi, in un certo senso ne arrivano cinque, perché tanti sono gli ecotipi di questo legume interessati dal progetto. Parlando di fagiolo cortalese, infatti, intendiamo cinque diverse varietà: la reginella bianca, detta “ammalatèddha”, la reginella gialla, la cannellina bianca – o rognonella per la forma simile a un rene – la cocò gialla, nota anche come “limunìdu” e la cocò bianca. Ottima quindi la pasta e fagioli, insieme al peperoncino di Soverato.
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